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La Seconda Possibilità |
Part 2
“Non c'è battito, comandante. E' morto. Non c'è più niente da fare”.
Alain le aveva appena detto questa frase, ma lei non poteva accettarla. Lo guardò con un'espressione di terrore, poi il suo gridare fu come un ruggito: “NOOO! Il mio Andrè non può morire!” Si gettò su di lui, e con la sua bocca soffiò l'aria nella sua. Poi strappò la giubba, e spinse con entrambe le mani sul petto, disperata. Nessuno capiva cosa stesse facendo, ma era certo che stava lottando con la morte.
“Respira, André, non puoi morire, respira!” Ripeteva quei gesti ancora e ancora, con tutta la sua forza: doveva vincere.
Intorno a lei tutti erano sconvolti al vederla così, come presa dalla pazzia. Alain con un moto di pietà stava per fermarla per farla desistere, quando André emise un lamento e poi tossì. Velocemente Oscar lo voltò sul fianco, per fargli vomitare tutta l'acqua. Era vivo. La morte non aveva avuto la sua preda, per ora: Oscar aveva vinto la sua battaglia, ma ancora non era finita. La ferita alla spalla sanguinava copiosamente, era necessario tamponarla e trovare un medico.
Rientrati in caserma, Andrè venne portato nell'infermeria. Frattanto Oscar aveva fatto chiamare il dottor Lassonne, il medico della famiglia Jarjayes.
Il dottore entrò nell'infermeria col suo assistente, rassicurando Oscar:” Faremo tutto il possibile”.
Ferma davanti alla porta chiusa, Oscar tremava visibilmente. Gli abiti erano fradici, i capelli bagnati erano incollati alla divisa. Ma non tremava solo di freddo, era ben evidente.
Nessuno osava fiatare. Alain decise di scuoterla: “E' in buone mani, comandante: mentre aspettiamo sarebbe meglio andare a cambiarsi questi abiti bagnati, qua si rischia una polmonite!”
Oscar si diresse come un automa verso il suo ufficio, dove si trovava anche una piccola stanzetta che fungeva da camera da letto, utilizzata quando i turni notturni non le permettevano di ritornare a palazzo. Una stanza spoglia, solo un letto, un armadio, una specchiera e un piccolo tavolino accanto al letto. Aprì l'armadio e si accusò di scarsa previdenza: non c'era granché perché non aveva affatto pensato a riempirlo, infatti c'erano solo una camicia e un paio di pantaloni. Ma bastavano. Si cambiò in fretta per tornare al più presto davanti all'infermeria, senza curarsi di asciugare bene i capelli.
Trovò il dottore che stava uscendo accompagnato dall'assistente: egli rispose alla muta domanda di Oscar con sollecitudine, tanto la conosceva bene.
“La situazione è critica, madamigella. Purtroppo non solo ha rischiato l'annegamento, ma la ferita alla spalla gli ha fatto perdere molto sangue. E' debole, molto debole. Io ho fatto tutto quello che potevo fare, dobbiamo solo aspettare ora, e sperare.”
Oscar si appoggiò allo stipite della porta con il braccio teso, per sostenersi. Sentiva che stava per svenire e cercò di dominarsi.
“Madamigella, voi non dovete rimproverarvi nulla, il suo cuore si era fermato e voi l'avete riportato alla vita. Mi compiaccio che abbiate messo a frutto i miei insegnamenti di primo soccorso. Dopo quella volta che avete rischiato entrambi di annegare nello stagno da bambini...”
Oscar rabbrividì.
“Purtroppo non potrò passare domani, sono stato chiamato per un consulto importante a Versailles, dovrete provvedere alle medicazioni.”
Oscar annuì raddrizzandosi. La battaglia continuava.
“Vi ringrazio dottore.”
Lo squillo dell'adunata risuonò nell'infermeria. Proprio al momento giusto. Bofonchiando indispettiti, perchè interrotti proprio sul più bello, i soldati della guardia lasciarono l'infermeria, lanciando un'ultima occhiata al volto impietrito di André. Tanto l'avrebbero tartassato più tardi...
Alain misurava l'effetto del suo racconto, poi, scoppiando in una risata fragorosa: “La leonessa ha combattuto contro la morte per salvare il suo amore, e ha vinto!”
André era sopraffatto dalla rivelazione. “Allora non è stato un sogno.”
Alain lo guardò interrogativo.
“Ho sognato di stare per bere l'acqua del Lete.”
“Le-che? Mai sentito.”
Andrè alzò il sopracciglio. “Il Lete, Alain, nella mitologia greca è il fiume la cui acqua fa dimenticare la vita passata prima di entrare nell'aldilà. E' anche citato nella “Repubblica” di Platone.”
“André.”
“Eh?”
“Tu sei troppo intellettuale per i miei gusti.”
“Ah.”
“Ma per fortuna non devi piacere a me, ma alla nostra bella comandante. Sono certo che lei apprezzerà tutto il ciarpame mitologico con cui infarcirai le tue parole d'amore.”[2]
“Vai al diavolo, Alain!”
“Sì, vado, vado... serve altro?”
“Ho bisogno di rivestirmi. Nella mia sacca c'è la biancheria pulita. Me la porteresti per favore? Non posso restare così, mezzo nudo.”
“Sei proprio un verginello pudico. Andrè, se continui così non combinerai mai niente. Non lo sai che anche alle donne piace guardare?”
“A-Alain!”
“Ah, Colonello D'agout.”
“Buongiorno Signore. Come sta il soldato Grandier?”
“Si è ripreso. Nonostante il ritardo nei soccorsi”.
“Certo.”
“Colonello”.
“Sì?”
“Preparate una lettera per il comando del reggimento. Dobbiamo richiedere immediamente che ci venga assegnato un ufficiale medico, ne abbiamo bisogno. Potrà succedere ancora, data la situazione di Parigi, che dei nostri soldati abbiano bisogno di immediata assistenza medica.”
“Sì, signore.”
“Grazie. Di... tutto.”
La giornata non sembrava finire mai. Avrebbe voluto lasciare l'ufficio per far capolino nell'infermeria, ma non poteva. Maledetto dovere. Per la prima volta in vita sua, forse, avrebbe desiderato venir meno ai suoi impegni. La tentazione era forte. D'altra parte, sapeva di doversi controllare. Già il suo comportamento era stato alquanto... bizzarro, almeno così doveva apparire agli occhi dei suoi soldati.
Chissà cosa stavano dicendo, ora. Si sorprese a constatare che tutto sommato non gliene importava poi tanto. Avrebbe affrontato un problema alla volta. Quello che non potevano più mettere in dubbio era che lei era un buon comandante, e questo sembravano averlo ben capito. Si sentì più leggera e continuò a lavorare.
Ormai era sera. L'uniforme stesa davanti al fuoco del camino si era ormai asciugata e l'indossò. Si sentì un po' più a suo agio, aggiustandosi meglio le maniche. Lo specchio le rimandò l'immagine del comandante. Buffo come un semplice indumento potesse cambiare le cose: tutto sommato era una specie di carapace, che la faceva sentire sicura e protetta. Come un'aragosta, e si mise a ridere al proprio riflesso.
Chiuse l'ufficio e si avviò decisa verso l'infermeria. Giunta davanti alla porta, vide che la stanza era piena di soldati: anche loro avevano finito il turno, ed erano passati a trovare André. Da una parte era felice che André fosse ormai benvoluto dai suoi compagni, dall'altra... aveva sperato di trovarlo solo. Inoltre doveva provvedere alla medicazione, come aveva detto il dottore: bisognava disinfettare le ferite e cambiare le fasciature, e non intendeva lasciare ad altri questa incombenza. Non c'era l'ufficiale medico, ed era sicura di essere la persona più capace, data la sua esperienza e la sua segreta passione per la medicina. Non avesse fatto il soldato, avrebbe voluto essere un medico. Certo, una cosa l'antitesi dell'altra: il soldato toglie la vita, il medico la ridà.
Come sei complicata e incoerente, Oscar.
L'apparizione del comandante sulla porta spense la gaiezza che aleggiava nella stanza. Oscar se ne dispiacque, si sentì di troppo.
Alain corse in suo soccorso: “Ehi comandante, vi stavamo aspettando!”
André le sorrideva, e così si avvicinò a lui: “Come va?”
“Sto molto meglio, grazie.” Entrambi erano imbarazzati, sentendosi così osservati.
Indossa una camicia.
Non indossa più solo la camicia.
Peccato, pensarono all'unisono.
Oscar si riscosse dai suoi pensieri impuri, e cercando di emettere una voce il più normale possibile disse: “Il dottore non potrà passare, quindi devo provvedere al cambio della medicazione.” E si diresse verso l'armadio dei medicinali, estraendone tutto il necessario, fra garze, medicinali e bende.
Il tutto venne posato su di un tavolino vicino al letto.
André deglutì: “Ma io..”
L'atteggiamento di Oscar non ammetteva repliche. “Non vorrai rischiare un'infezione. Sai bene che sono perfettamente in grado di farlo. Niente storie.”
Certo che il loro comandante non finiva mai di stupire. Un nugolo di mosche avrebbe potuto benissimo entrare nelle bocche aperte dei soldati della guardia, e nemmeno se ne sarebbero accorti.
Alain prese in mano la situazione: “Bene, ragazzi, a me è venuta sete. Visto che siamo il libera uscita, approfittiamone: lasciamo il soldato Grandier qui sul suo letto di dolore e andiamocene in una taverna a bere alla sua salute”. Sottolineando il discorso con convincenti manate sulle spalle, svuotò la stanza e uscì, non prima di aver mandato un mezzo saluto militare all'indirizzo della bella comandante.
Oscar attese che si spegnessero le voci che risuonavano nel corridoio, poi si diresse verso la porta e la chiuse. Per superare l'imbarazzo, decise di agire senza tanti preamboli. André sedeva sul letto, la schiena appoggiata ad alcuni cuscini, e la guardava senza proferire verbo.
Si avvicinò a lui: “André, devi toglierti la camicia, così posso cominciare la medicazione.”
André cominciò a slacciarsi la camicia, imbarazzato. Cercò di sfilarsi l'indumento dalle braccia, ma non ci riusciva, a causa del dolore alla spalla.
“Temo che dovrai aiutarmi.”
Oscar, apparentemente impassibile, eseguì, lanciando poi un'occhiata fintamente distratta al torso dell'amico, mentre si voltava per lavarsi le mani.
Per essere più a suo agio si tolse la giacca, appoggiandola sullo schienale della sedia. Poi si arrotolò le maniche della camicia scoprendo gli avambracci. Presa una scaglia nuova di sapone di marsiglia, si lavò scrupolosamente le mani sul catino, versando acqua fresca a più riprese per sciacquare bene.
Asciugate le mani, fu di nuovo vicino ad André, che non le aveva mai staccato gli occhi di dosso. Si sedette sul letto. Iniziò delicatamente a svolgere le bende, facendo attenzione al sangue rappreso che le incrostava e le appiccicava alla pelle. Apparvero i fori dei proiettili, con il loro scuro sangue raggrumato. Per fortuna le pallottole erano uscite da sole, e non era stato necessario incidere la carne per estrarle. Una volta guarito, solo due circoletti rosa avrebbero segnato la pelle. Era necessario pulire tutto intorno e presa una garza, Oscar iniziò a detergere la pelle del petto e della spalla.
André tratteneva il respiro. Una mano di Oscar era posata sulla spalla sana, mentre l'altra passava la garza. Percepiva tutto questo come una dolcissima carezza.
Oscar lo guardò negli occhi: “Adesso devo disinfettare le ferite, ti farà un po' male.”
In effetti, la medicazione bruciava parecchio. Ma André era ancora sotto l'effetto del piacere per il tocco della mano della donna che amava, e non ne risentì più di tanto. Il tutto venne ripetuto sulla schiena, per medicare anche i fori d'uscita delle pallottole.
Oscar si prese l'agio di guardare bene, approfittando del fatto che lui le dava le spalle: aveva sempre avuto una schiena così ampia?
Anche André approfittò del fatto che Oscar non potesse vederlo per mascherare l'effetto che gli stava producendo con quei tocchi leggeri come ali di farfalla: tirò le ginocchia piegandole verso di sè, panneggiando il lenzuolo in modo da nascondere quello che avveniva nei suoi pantaloni.
Oscar si alzò e prese un rotolo di garze dal tavolino, iniziando a fasciare il petto e la spalla. André si scioglieva sotto questa dolce tortura: lei era vicina, troppo vicina, pericolosamente vicina. I suoi sensi erano eccitati, il profumo di lei, le sue mani, lo stavano rendendo folle. Ma aveva fatto una promessa, doveva dominarsi.
D'altra parte, anche Oscar stava cercando di dominarsi, di non lasciarsi prendere da quell'atmosfera che lei stessa aveva provocato. Temeva che il battito del suo cuore, così impazzito, potesse essere percepito da André. Temeva che le tremassero le mani.
“Ho finito.” disse, terminando la fasciatura.
“Grazie, Oscar.” Rispose l'uomo.
E adesso? Cosa doveva fare? Andare o restare? E cosa dire? Oscar indugiava, riponendo garze e medicinali, riflettendo sul da farsi.
André iniziò a parlare per primo. “Oscar, Alain mi ha raccontato cosa è successo dopo che mi avete ripescato. Mi hai salvato due volte. Grazie.”
“Tu avresti fatto lo stesso per me.” disse, sedendogli vicino. E voleva dire: “Non posso vivere senza di te.”
“Sì.” Rispose André in un sussurro, e voleva dire: “Ti darei fino all'ultima goccia di sangue.”
“Dovrai restare qui per un po' di tempo. Ho mandato una lettera al comando perché ci venga assegnato urgentemente un ufficiale medico. Spero che mandino qualcuno domani.”
In realtà non lo sperava affatto.
“Ah, non mi dispiace restare qui, almeno posso dormire in pace, senza Alain che mi russa nelle orecchie come un orso in letargo!” E voleva dire: “Vorrei che tu restassi qui accanto a me.”
“Si è fatto tardi, ora devo andare.” E voleva dire: “No, non è questo, quello che volevo dire, sto imbrogliando le parole...”[3]
Riprese la sua giacca, poi disse: “Aspetta, ti aiuto a rimettere la camicia.” e fece per infilargliela.
I loro visi si ritrovarono vicini, per un momento i loro sguardi si incrociarono, e l'uno percepì il languore che l'altro provava. Come colpita da un fulmine, Oscar si riscosse, si allontanò e voltandosi si avviò alla porta. Prima di aprirla si volse di nuovo verso André e gli disse: “Buonanotte André.”
“Buonanotte Oscar.” E la porta si richiuse.
André rimase solo, ad interrogarsi sul suo atteggiamento. Poteva essere che Oscar...?
Notes:
[2] Una piccola vendetta nei confronti del manga, dove si sprecano riferimento mitologici nei dialoghi amorosi.
[3] Una citazione della scena del manga nella quale Oscar rompe la corda del sol e parla di tutto tranne di quello che vorrebbe veramente dire.
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